lunedì 3 maggio 2010

Werther 3

«Werther? E' un poeta»

Elena Formica

Francese, francesissima. Eppure la prima assoluta non venne data a Parigi. Così gira strano il mondo, a volte. Ma non senza un perché. Opera «inconfondibile e geniale» - come scrisse Arruga - il «Werther» di Massenet venne rappresentato per la prima volta a Vienna il 16 febbraio 1892. Fu cantato in traduzione tedesca ed ebbe successo. Sia chiaro: Massenet e compagnia (cioè i librettisti Blau, Milliet e Hartmann) avrebbero immaginato un gran debutto parigino, ma Léon Carvalho mandò all’aria il progetto: questo «Werther» è troppo triste - pensò il direttore dell’Opéra Comique - quindi via dal cartellone. L’anno dopo, l’opera trionfò anche lì. Se Parigi all’inizio disse no, Vienna disse sì. E non tanto perché Massenet si era ispirato a «Die Leiden des jungen Werther» di Goethe, capolavoro ovunque esportato della letteratura tedesca, quanto per il fatto che la Vienna di Francesco Giuseppe, sotto il drappo imperiale così inquieta e borghese, era inconsciamente pronta ad accogliere questa musica, questo soggetto.

La capitale austriaca, paradigma irregolare di una borghesia trainante e malata (erano gli anni di Freud e di Klimt, dei loro affini, seguaci e clienti), aveva bisogno di un «Werther» alla Massenet: un eroe «da salotto» ma irriducibile ed estremo, affetto dalla psicosi di un tempo florido quanto macabro che si avviava alla Secessione estetizzando i drammi, i dubbi e le conquiste di un’era al bivio fra l’estasi e l’abisso. Massenet offriva a questo pubblico evoluto - ma angosciato - la possibilità di specchiarsi in un Werther attuale, raffinato e morboso. Un tipo che comunque non piaceva affatto a George Bernard Shaw, il quale lo accusava di inettitudine, di inconsistenza, di essere inutile e dannoso come la gente che non ha voglia di lavorare. Il drammaturgo irlandese, a prescindere dall’opera di Massenet, metteva il dito nella piaga: non è che questo giovane Werther, suicida perché l’amata Charlotte non sarà mai sua, è solo uno smidollato, un pavido, un immaturo? «Io non sento in Werther quella snervatezza che spesso gli viene attribuita anche a causa di certe interpretazioni», risponde secco il tenore Francesco Meli, svettante Adorno nell’ultimo Simon Boccanegra al Regio e giovedì al debutto nel «Werther» di Massenet per la direzione di Michel Plasson (oggi alle 15.30 la prova generale, ndr). «Werther - spiega l’artista - soffre di un’oggettiva difficoltà a relazionarsi con gli altri e vive come reale un proprio mondo interiore che non è in grado di condividere con chi gli sta accanto. Fin dall’inizio Werther esalta quella Natura sempre giovane, casta e pura che non gli appartiene e che neppure può esistere come tale. Werther è un poeta, non è l’eroe che sfida la morte nei campi di battaglia: ma questo poeta, se è travolto dalla passione, diventa un leone. Ecco allora che l’ansia di Werther sembra placarsi quando Charlotte gli sta accanto, mentre il fuoco divampa quando la ritrova già sposata con Albert: l’orchestra si accende e Werther, il suo canto e la sua musica, si infiammano in chiave fortemente romantica». « Werther - conclude Meli - espone in scena tutto ciò che pensa: è un personaggio molto meditativo, introspettivo, ed è innegabile che l’interpretazione di alcuni cantanti abbia alimentato la falsa idea che la psicologia di Werther sia quella di un debole, di un personaggio piuttosto effeminato a cui contrapporre la figura di Albert, uomo solido e virile. Ma Werther ha un suo fascino reale, l’eterno fascino del poeta. E io ho l’impressione che nel III atto di quest’opera ci sia la stessa urgenza, la stessa disperata passione del IV atto della Carmen di Bizet. Werther è un uomo distrutto, ma un uomo assolutamente vero».

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